Relazione artistica sul programma della 42ª edizione del Festival della Valle d’Itria

Festival

La relazione artistica del Direttore artistico Alberto Triola sul programma della 42ª edizione del Festival della Valle d’Itria

Scriveva Euripide che l’arco di Eros è duplice: da un lato scocca i dardi della gioia e dell’estasi, dall’altro quelli della pena e dello smarrimento, e confonde l’uomo, portandolo dall’ebbrezza alle più cupe tempeste dell’animo. “I giochi e gli abissi di Eros”, questo potrebbe essere uno dei titoli del cartellone della 42ª edizione del Festival della Valle d’Itria, significativamente dedicato a Giovanni Paisiello (1740 – 1816), uno dei più gloriosi nomi della scuola pugliese-napoletana, di cui ricorre nel 2016 il bicentenario della morte. La vita del genio musicale pugliese, nato a Taranto e formatosi musicalmente a Napoli, è uno dei più eclatanti esempi di cosmopolitismo culturale; il Tarantino colleziona infatti commissioni, incarichi e allori, oltre che nel Regno di Napoli, dapprima nello Stato Pontificio e quindi nelle più ricche corti europee: soprattutto a San Pietroburgo, alla corte di Caterina II, e quindi Parigi e Varsavia. L’apertura del Festival 2016 è dedicata a un significativo repêchage paiselliano: si recupera infatti una brillante commedia per musica, composta su di un soggetto noto agli appassionati e agli studiosi soprattutto grazie all’opera omonima del coevo Antonio Salieri: La grotta di Trofonio. In quest’opera tipica d’ensemble, eccezionalmente ricca di pezzi d’assieme, Paisiello esalta il meccanismo teatrale caratteristico del genere comico: un manipolo di bizzarri personaggi, di varia caratterizzazione ed estrazione sociale, còlti in un complesso intreccio di interessi contrastanti, nell’alternarsi di una tavolozza di sentimenti: seduzione, gelosia e competizione muovono i personaggi all’interno di una dimensione apparentemente realistica e quotidiana, in realtà perfettamente idealizzabile, che sottolinea ambizioni, meschinità, egoismi e fragilità, secondo i caratteri alla satira sociale e di costume del tempo. Il libretto che Paisiello intona è un rimaneggiamento del gustosissimo e originale dell’Abate Casti, che Salieri aveva utilizzato per la sua Grotta di Trofonio, andata in scena al Burgtheater di Vienna nell’ottobre 1785, e che anticipa i temi del Così fan tutte dapontiano. Nel dicembre dello stesso anno, adattando il soggetto originale, di impianto più astratto e geometrico, a una varietà di tipi teatrali più “italiani” (tra cui spicca ad esempio il buffo Gasperone, che si esprime in dialetto napoletano), Paisiello presenta l’opera a Napoli, sulle scene del Teatro dei Fiorentini. Anche per queste ragioni storiche, La grotta di Trofonio dà perfettamente conto del gusto musicale imperante in Italia nell’ultimo scorcio del XVIII secolo, che vede affermarsi l’opera comica quale genere di sicuro successo anche per compositori che avevano già dato prova di maestria nel genere serio e in quello sacro. A Martina Franca l’opera di Paisiello va in scena per la prima volta in tempi moderni, grazie al lavoro di revisione di Luisa Cosi, esperta musicologa votata al recupero della Scuola pugliese. Lo spettacolo, realizzato con le scene di Dario Gessati e i costumi di Gianluca Falaschi (entrambi tornano al Festival dopo il successo de La donna serpente), è affidato alla fantasia e all’estro teatrale di Alfonso Antoniozzi, interprete di riferimento negli ultimi vent’anni del repertorio buffo ottocentesco; artista poliedrico e vulcanico, Antoniozzi da qualche anno alterna la carriera di cantante a quella di regista: ha deciso di dare all’opera una lettura idealizzante, ambientandola negli Anni ’10 del Novecento, immaginando le vicende di un improbabile gruppo di turisti alla scoperta di una Grecia arcadica e sorprendente, scaturiti da un mondo di…carta. La direzione d’orchestra è affidata a Giuseppe Grazioli, elegante ed eclettico musicista, che torna a Martina Franca sul podio operistico, dopo il trionfo di Napoli milionaria, nel 2010. Al cast, per un’opera di ensemble e d’irresistibile ritmo teatrale, è richiesto il più spumeggiante virtuosismo attoriale, e di garantire gli opportuni equilibri tra tipi vocali e “maschere” teatrali; a Martina Franca si potranno ammirare artisti riconosciuti tra i più brillanti talenti teatrali oggi in carriera, e alcuni di essi sono veri e propri beniamini del pubblico del Festival: nel ruolo eponimo torna a Martina Franca, dopo il successo personale riscosso come protagonista delle Braci, il grande basso Roberto Scandiuzzi, e – per il quarto anno consecutivo – il mattatore Domenico Colaianni, ancora una volta chiamato a un irresistibile ruolo di carattere. Rivediamo anche la giovane Angela Nisi, mentre debuttano invece a Martina Franca due bellissimi nomi del panorama lirico, quali Daniela Mazzucato e Giorgio Caoduro, oltre al giovane tenore Matteo Mezzaro e al soprano Caterina Di Tonno. Lo spettacolo, dopo il Don Checco dello scorso anno, rinnova la collaborazione con la Fondazione del Teatro di San Carlo di Napoli, a conferma del valore di una partnership tutt’altro che estemporanea con la massima istituzione culturale di una grande capitale della storia della musica europea. Questa coproduzione si configura come l’evento di punta di una serie di iniziative collaterali che vedono il Festival e il Teatro San Carlo uniti nelle celebrazioni paiselliane, tra le quali un convegno di studi internazionale, una mostra monografica, documentale e iconografica. Di straordinario valore è la proposta rappresentata dal secondo titolo operistico del cartellone, che andrà in scena nel cortile di Palazzo Ducale il 30 luglio 2016. È infatti addirittura una prima assoluta mondiale quella di Francesca da Rimini, opera inedita di Saverio Mercadante. Si tratta evidentemente di uno dei progetti più ambiziosi dell’intera storia del Festival della Valle d’Itria, che allinea un grande titolo di un compositore tra i maggiori dell’Ottocento italiano, un soggetto leggendario e due personaggi divenuti archetipi culturali per l’Occidente: Paolo e Francesca, gli sfortunati amanti immortalati da Dante nel Quinto Canto della Commedia. Saverio Mercadante, altamurano trasferito a Napoli, consolida la propria fama a Vienna, Parigi e quindi a Madrid. Proprio per la corte spagnola scrive la sua Francesca da Rimini, ambizioso lavoro su libretto di Felice Romani, per il quale non risparmia energie, e che per ragioni su cui la storia deve ancora fare luce, non andrà mai in scena. La partitura manoscritta, datata 1831 e conservata in due copie (una a Bologna e una proprio nella capitale spagnola), perfettamente compiuta e integra, rivela una cura singolare per la scrittura e per il dettaglio, e presenta annotazioni autografe di rilevante valore. Le scelte musicali che Mercadante porta avanti in quest’opera sono degne di un lavoro che pareva destinato ad accendere gli entusiasmi dell’epoca. Un debutto quindi molto atteso e di portata storica, che richiede una locandina prestigiosa: a Martina Franca la nuovissima e ancora sconosciuta Francesca da Rimini, opera di grande respiro e con pagine di sorprendente ispirazione, vedrà finalmente la luce, affidata alle cure del direttore musicale del Festival, Fabio Luisi, e all’eleganza di uno dei grandi maestri del teatro italiano, Pierluigi Pizzi, che torna a Martina Franca vent’anni dopo il memorabile successo della sua Grande-duchesse de Gérolstein, per curare l’intero progetto scenico dell’opera, firmando regia, scene e costumi. La lettura che Pizzi sta preparando non mancherà di sorprendere, essendo improntata sul più asciutto dei minimalismi possibili: i protagonisti si muoveranno all’interno di uno spazio scenico completamente vuoto, scosso dai chiaroscuri di una colossale vela nera, che rimanda alla “bufera infernal, che mai non resta”. L’importante cifra coreografica che ne deriva potrà contare sulla prestigiosa firma di Gheorghe Iancu. Il cast, totalmente internazionale, punta su tre giovani promesse, a partire dalla spagnola Leonor Bonilla (Francesca) e dalla giapponese Aya Wakyzono (Paolo), affiancate dal turco Mert Süngü (Lanciotto), tutti chiamati a misurarsi con una vocalità impegnativa e con ruoli assolutamente inediti. Dell’opera, com’è evidente che debba essere in occasione di una prima mondiale di questa rilevanza, sarà eseguita la nuovissima edizione critica curata da Elisabetta Pasquini per Ut Orpheus. Giunta al sesto anno di attività, e affidata ora direttamente alle preziose cure di Fabio Luisi, l’Accademia del Belcanto consolida il suo intenso e fecondo lavoro sul repertorio belcantistico, oltre a proseguire sul percorso di un rigoroso approfondimento stilistico e tecnico del cosiddetto “barocco”. La rilevante novità di quest’anno è che la proposta dedicata ai giovani artisti della “Rodolfo Celletti” si sdoppia: oltre che nel consueto titolo del repertorio seicentesco affidato alle cure di Antonio Greco, messo in scena nella cornice intima e suggestiva del Chiostro di San Domenico, alcuni di loro si misureranno in uno dei titoli più popolari del repertorio belcantistico, eseguito in forma semiscenica negli ampi spazi di Palazzo Ducale. È la riprova che i giovani dell’Accademia sono ormai in grado di esprimere una compiuta maturità vocale e interpretativa, tale da potersi far apprezzare anche nel grande repertorio. Sono quindi due, da quest’anno, i titoli riservati ai giovani cantanti dell’Accademia Celletti: per l’ambito seicentesco si è scelto di continuare nella proposta del teatro musicale di Agostino Steffani; dopo la sorprendente messa in scena de La lotta d’Ercole con Acheloo, che riscosse nel 2014 un travolgente successo di critica e pubblico, viene proposto il secondo atto unico scritto da Steffani, geniale autore il cui pregio musicale è oggetto di recente e vitale riscoperta musicologica; alla giovane musicologa brasiliana Cinthia Alireti, già responsabile dell’edizione della Lotta, il Festival ha affidato l’edizione critica di Baccanali, altro titolo mai rappresentato in tempi moderni, e che promette nuove mirabilia musicali. La parte scenica dello spettacolo è stata affidata a Cecilia Ligorio, che nell’ultima edizione del Festival si è imposta all’attenzione del pubblico con una sorprendente lettura del Barbiere di Siviglia, travolgente per ritmo e originalità: le caratteristiche del Chiostro di San Domenico dovrebbero garantire la dimensione ideale al suo talento registico, che per questo Steffani punta a una lettura poetica, lucida e visionaria del libretto di ispirazione classica. Alessia Colosso e Manuel Pedretti firmano rispettivamente scene e costumi di un allestimento che porterà suggestivi elementi di natura all’interno del Chiostro. Per quanto riguarda invece l’opera di “repertorio” la scelta è caduta su Così fan tutte: il capolavoro di Mozart e Da Ponte è perfettamente centrato sul tema del Festival di quest’anno e offre ai giovani artisti dell’Accademia “Celletti” una straordinaria occasione di misurarsi con le potenzialità del più alto teatro musicale. Ulteriore motivo di interesse della proposta, oltre al titolo stesso, sarà la direzione di Fabio Luisi, che ha deciso di debuttare con questo titolo proprio a Martina Franca, insieme ai giovani interpreti dell’Accademia, chiamati a un lavoro totalizzante, di vero e proprio workshop teatrale, con la regista Juliette Deschamps, che firma la realizzazione semiscenica dello spettacolo. Moltissimi, quindi, i motivi di interesse di questo appuntamento. Il grandissimo successo del Barbiere dello scorso anno incoraggia il Festival a proseguire sulla strada di Opera in masseria, l’inedita formula (originale del Valle d’Itria), che propone la rappresentazione di un titolo operistico – appositamente adattato nell’organico strumentale e nella forma drammaturgica – in un contesto architettonico ed ambientale in grado di esaltare il pregio ambientale del territorio della Valle d’Itria. Viene proposto, in forma integrale, un piccolo gioiello dell’opera buffa: il Don Chisciotte della Mancia di Paisiello. Il giovane regista Davide Garattini ha immaginato una messa in scena originale e sorprendente, e ha scelto di ambientare il soggetto, che rimanda a un altro anniversario (quello di Cervantes, di cui ricorre il quarto centenario della morte, 1547-1616), nella cornice di una taverna. Nel cartellone del 42° Festival della Valle d’Itria anche i due concerti sempre molto attesi dal pubblico: quello del Belcanto a Palazzo Ducale – affidato alla spumeggiante bacchetta emergente del giovane Sesto Quatrini – in occasione del quale verrà assegnato il Premio Celletti 2016, con un programma di pagine poco note del repertorio belcantistico (Mercadante, Pacini, Rossini), significativamente accostate a Mozart (altro possibile fil rouge sommerso di questa edizione); e il popolarissimo Concerto per lo Spirito, nella Basilica di San Martino, ancora nel segno di Paisiello, e affidato alle cure di Ettore Papadia. Il Festival di questi ultimi anni ha sempre riservato un’attenzione particolare alla musica e ai compositori del XX secolo, quando non a quelli di oggi, anche con commissioni di brani e opere nuove (lo scorso anno il Festival fu inaugurato con Le braci di Marco Tutino). Quest’anno, nella cornice di Novecento e oltre, e nell’atmosfera intima del Chiostro di San Domenico, trovano spazio due serate di pregio musicale: un omaggio a Henze e Boulez, e una serata di opera da camera novecentesca, emblematicamente chiamata “Giochi di Eros”, con un inedito dittico in lingua inglese: Hand of bridge di Samuel Barber, che è la più breve opera mai scritta (dura meno di dieci minuti), e The Bear, gioiello di William Walton da Cechov. Le due opere saranno rappresentate in forma semiscenica, e con piccolo organico strumentale.

Il ciclo Fuori orario… prevede i consueti appuntamenti musicali offerti al pubblico del Festival in diverse ore del giorno e della notte, e in vari luoghi della città. Ci sono i programmi di musica sacra della domenica a mezzogiorno (All’ora sesta) e quelli profani e gustosi (anche grazie alle delizie rinfrescanti offerte al pubblico dallo storico Bar Tripoli) del Concerto del sorbetto, affollato appuntamento fisso del sabato pomeriggio nel Chiostro di San Domenico; ma è la formula intima e mistica di Canta la notte… a ricreare le atmosfere probabilmente più suggestive del Festival. Quest’anno saranno due i programmi offerti ai nottambuli: un concerto corale, di ispirazione religiosa, e una sorpresa teatral-musicale, che offrirà una preziosa antologia pianistica intorno a Paolo e Francesca. I due eterni personaggi prenderanno voce e corpo tra il pubblico del Chiostro di San Domenico. Non mancherà il tradizionale appuntamento con i più giovani, Festival Junior, che impegnerà anche quest’anno decine di bambini nell’incontro con pagine di musica del Novecento. L’iniziativa, ormai un classico del Festival, ha pregevoli finalità educative, perseguite già in fase di studio e preparazione, nel corso dei mesi invernali, grazie all’impegno, prezioso e insostituibile, della Fondazione Paolo Grassi diretta da Gennaro Carrieri e al lavoro di insegnanti appassionati e scrupolosi, e alla guida ispirata di Angela Lacarbonara. Quest’anno i giovani musicisti in erba avranno modo di conoscere l’estro di Erik Satie. Chiude il Festival, come di tradizione, il Concerto sinfonico, diretto dalla giovane greca Karina Canellakis. Il programma, pensato per una serata accattivante e di richiamo, presenta la visione di Caikovskij di Francesca da Rimini, e la popolare sinfonia “Dal Nuovo Mondo” di Dvorák, protagonisti i musicisti dell’Orchestra Internazionale d’Italia. Gli altri complessi ospitati dal Festival di quest’anno sono il Coro Filarmonico di Cluj-Napoca, diretto da Cornel Groza, l’orchestra ICO della Magna Grecia di Taranto e l’ensemble Cremona Antiqua. Anche quest’anno, dunque, sono molti i percorsi, le suggestioni e le occasioni offerte dal Festival della Valle d’Itria, vera e propria “riserva protetta” (speriamo abbastanza!) del panorama culturale nazionale, e non solo. Da più di quarant’anni tenace e coraggiosa espressione di fiducia nelle straordinarie potenzialità che musica, teatro e cultura possono sviluppare nell’economia e nello spirito di un territorio. Sempre di più laboratorio aperto di idee e di talenti, che scelgono la strada impervia e scomoda della scommessa su tutto ciò che non sembra affatto scontato. A tutti loro, e a chi dietro le quinte contribuisce ogni anno a perpetuare questa impresa, va il grazie più sentito del direttore artistico. Milano, 25 maggio 2016 Alberto Triola Direttore artistico